venerdì 7 gennaio 2011

Hereafter


Il senso di "Hereafter", l'ultimo bellissimo film da regista di Clint Eastwood, è tutto in quella terrificante onda di tsunami iniziale. Un evento improvviso contro il quale non puoi far nulla, che ti travolge e ti trascina via. E' la metafora visiva migliore che si potesse trovare per simboleggiare la morte ma soprattutto il dolore che accompagna la morte e che affligge chi resta. Dolore che, chi ha perduto una persona cara lo sa, arriva  a ondate e sembra non volerti lasciar più respirare. Non a caso si dice annegare nel dolore.

E' stupefacente come l'ottantenne Clint, a un età in cui di solito si preferisce non pensarci perché si comincia ad esserne sempre più quotidianamente terrorizzati, sia riuscito a comporre un affresco così pieno di serenità nei confronti della morte, senza imporre certezze religiose o superstiziose sull'aldilà ma suggerendoci che le risposte che cerchiamo, riguardo ad argomenti così dolorosi come la perdita e il lutto e l'angosciosa questione se dopo finisca tutto o meno, sono dentro di noi, nella nostra mente. Occorre solo qualcuno o qualcosa che ci aiuti a tirarle fuori.

"Hereafter" è un poderoso film sull'elaborazione del lutto e sul suo significato profondo di fattore di crescita di personalità. Proprio per questo è straordinariamente ottimistico e positivo. La prospettiva del dolore della perdita non è il dolore infinito ma la trasformazione della propria esistenza in qualcosa di non necessariamente negativo.

Nessuna contaminazione religiosa nel discorso sull'aldilà, dicevo. C'è solo una brevissima scena, quasi un flash amaramente sarcastico, dove un sacerdote, di fronte al feretro di un bambino, parla di angeli, di lui che ora ci protegge ed è lassù a fianco di Gesù, concludendo: "Le ceneri saranno a disposizione nel retro della chiesa. Avanti il prossimo".
Le frasi che abbiamo sentito mille volte pronunciare senza convinzione nei funerali cattolici e che ci hanno lasciato solo un gran senso di rabbia per la loro inadeguatezza di fronte, ad esempio, al dolore cosmico di una madre che ha perduto un figlio.
E' paradossale perché, per la loro fede, la morte dovrebbe significare il ricongiungimento con Dio e quindi qualcosa di assolutamente gioioso, ma i religiosi (l'osservo continuamente nel mio lavoro) sono le persone più spaventate dalla morte, coloro che ne affrontano i rituali meno volentieri. Forse perché l'hanno popolata di demoni infernali e noiosissimi paradisi e la considerano un evento scontato e prevedibile dal quale non si può ricavare null'altro che un'impressione molto negativa e fine a sé stessa.

Nell'aldilà laico di Eastwood, invece, per alcune anime l'inferno è il rimorso di aver fatto del male e di non aver avuto tempo di chiedere perdono alle loro vittime. Siamo noi, però, attraverso il nostro processo di guarigione dal passato e di crescita, senza dimenticare l'ausilio del perdono, che possiamo render loro la pace, lasciandoli finalmente andare. Prima di tutto dalla nostra testa.

"Hereafter" è anche e soprattutto un film che descrive mirabilmente l'empatia e la difficoltà che prova chi quotidianamente si trova ad interagire con persone che stanno elaborando un lutto. 
Attraverso le vicende che portano la donna, il bambino e il sensitivo al loro incontro ravvicinato con la morte, possiamo renderci conto che il dolore non è mai fine a se stesso ma ha un significato che dobbiamo arrivare a scoprire con l'aiuto degli altri. 
Il sensitivo aiuterà il bambino a crescere ed affrancarsi dall'ingombrante figura fraterna; la donna fornirà al sensitivo le risposte che cercava, liberandolo infine dalla "maledizione" del contatto iperempatico con i dolenti e i fantasmi che li affliggono. In questo senso, i tre formano una simbolica triade i cui membri sono indissolubilmente legati l'uno all'altro ed il cui significato è: non è isolandosi che si guarisce dalla malattia del dolore ma passando attraverso l'esperienza dell'empatia, della pietas, della condivisione e dell'amore che ci vengono dall'altro da sé. Un percorso accidentato, doloroso e che a volte sembra di difficoltà insormontabile ma che ci rende alla fine persone migliori. 

5 commenti:

  1. Da come hai recensito questo film, penso che andrò a vederlo presto.

    Concordo con te sui preti, anche secondo la mia esperienza sono generalmnete i più cinici e i più vili nei confronti della morte, forse perchè consci del fatto che l'aldilà è solo una loro invenzione, forse perchè costretti ad avere a che fare con la morte per "lavoro", o forse perchè, credendoci, temono di meritare l'inferno... non so.

    Uno dei mie primi lavori come elettricista fu quello di installare un parafulmine su di una chiesa.
    Si, lo so, non c'entra niente, però quando mi chiesero di fare il lavoro gli sbottai a ridere in faccia!

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  2. Anonimo09:50

    non ho visto il film ma clint come regista non mi ha nai deluso,diverso com'è dall'icona che si era costruito come attore sempre uguale a se stesso,nell'unico film dove l'ho visto ridere,mi pare "Changeling"sono rimasto colpito dalla sua innaturalezza nel farlo.

    "senza imporre certezze religiose o superstiziose sull'aldilà ma suggerendoci che le risposte che cerchiamo, riguardo ad argomenti così dolorosi come la perdita e il lutto e l'angosciosa questione se dopo finisca tutto o meno, sono dentro di noi, nella nostra mente"

    come non andare a vedere il film dopo queste premesse.

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  3. Ciao, Lame. Bellissima recensione per un film stupendo. Citerei anche lo sceneggiatore (e drammaturgo), il geniale Peter Morgan: la storia (originalissima, non convenzionale, straordinariamente ricca di simboli e nello stesso tempo ancorata alla cronaca recente) è una sua creazione. Eastwood si è limitato a metterla in pratica, molto dopo che la storia era stata concepita e scritta.
    Un abbraccio.

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  4. Cara amica Lameduck,

    non vedo l'ora di vederlo questo film.

    Devo dire che quando parli di cinema sei sempre grande.

    Ciao Davide

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  5. @ Marcello A
    Devo solo precisare una cosa. Chi lavora con la morte non è detto che sia sempre cinico. A volte si fa questo lavoro perché si è straordinariamente affascinati dall'idea di avere a che fare con un argomento di cui gli altri non vogliono assolutamente sentir parlare.
    Riguardo al parafulmine, che i fulmini li attira, forse è meglio una gabbia di Faraday. Tranne che per le chiese, è ovvio. ;-)

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