venerdì 30 marzo 2007

E sono 47...

Anche se è il compleanno più triste della mia vita, perché lei non c’è più, siccome sono una papera d’acciaio e mi considero mai doma e cocciuta come dieci muli, voglio farmi gli auguri lo stesso con questo post vergognosamente autocelebrativo.
Solo per oggi darò la stura alla più spudorata e clamorosa espressione di culto della personalità dai tempi di Nicolae Ceausescu.

Sono giunta all’anno 47° che, facendo riferimento alla Smorfia, calza a pennello con le mie attuali mansioni lavorative, è benedetto dal sacro spirito di Totò e ha quel sapore di Napoli antica che noi nordisti per caso amiamo tanto.
47? Mi sento infinitamente meglio di quando avevo vent’anni, sono molto più saggia, menefreghista e coraggiosa dei miei tempi da giovane anatroccola. Sono anche molto più pazza, ma questo lo considero una fortuna. Chi è toccato da una sana e lucida follia, vede finalmente la luce.

Voglio fare gli auguri anche a questo blog che ha festeggiato i 50.000 contatti nei giorni scorsi e si colloca attualmente al 263° posto della classifica di Blog Babel. Nessuna falsa modestia oggi, ne sono proprio orgogliosa, tié!

Voglio farvi anche un regalo, segnalandovi quello che è il miglior blog appena nato in blogosfera (e non perché anch’io ci scrivo, ma si anche per quello, fanculo la modestia!), MenteCritica. Non vi dico nulla, visitatelo, leggetelo, innamoratevene e non fatene più a meno.

L’avete capito, oggi mi sento ancora più scoiattolo e voglio scorreggiare in faccia al mondo, alla sfiga, alla morte e alla depressione. Mi strafogherò di dolci, fanculo la dieta, mi farò coccolare ancor di più da chi mi ama e vi abbraccerò tutti quanti in un colpo, amici miei. Tanto le mie ali sono grandi...

martedì 27 marzo 2007

L'ultima parola alla difesa

Qual’è ultimamente il personaggio che dice sempre la sua in coda alle notizie di cronaca giudiziaria raccontate in televisione? Anche se verrebbe da dire Bonaiuti, in realtà è "l’avvocato difensore".
Di solito è l’avvocatone coi controcazzi che difende l’imprenditore, il politico o il VIP. Ogni tanto, è vero, compare anche l'avvocaticchio fresco di esame che difende d’ufficio ed al primo incarico il canaro della Garbatella trovato ancora con l'accetta in mano ma si tratta di casi rari. I poveri cristi qualunque non hanno questi privilegi, è un fenomeno prettamente d'elite.

Fateci caso, ormai ogni volta che la notizia criminis riguarda un potente caduto nelle maglie della magistratura, appare in video il suo avvocato difensore che dirà: “E’ una congiura, è fumus persecutionis, le prove non esistono, il mio cliente è completamente estraneo ai fatti, non esiste, ma figuriamoci.“
Siccome dopo queste affermazioni il servizio di solito si chiude e si passa a parlare delle previsioni del tempo e della sagra del formaggio di fossa, lo spettatore rimane con l’impressione, che può diventare certezza, che i magistrati passino il tempo ad incriminare onesti e laboriosi cittadini per puro sadismo. Come dice sempre quel politico-imprenditore di bassa statura.
L’altra campana da ascoltare per farsi un’idea obiettiva dei fatti sarebbero gli inquirenti, ma i giudici, i GIP e i GUP che compaiono in tv (ripresi chissà perchè sempre mentre camminano di fretta in strada) non parlano mai, sono sfuggenti, misteriosi e in fondo sinistri (non è una battuta).

Il problema è che se un magistrato o un giudice non si pronuncia sul caso che sta seguendo è normale, non è normale che gli avvocati difensori, siccome difendono dei pezzi grossi, imperversino sui media utilizzando ogni microfono acceso per le loro tesi difensive. In certi casi si assiste ad una vera e propria mitologizzazione della difesa, con l’avvocato che diventa protagonista di una vera e propria saga mediatica. Il caso Taormina-Cogne è emblematico e difficilmente i suoi record saranno eguagliati e battuti per molto tempo, come il record di Mennea a Città del Messico.
Gli avvocati diventano non solo divi mediatici ma, grazie al dono dell’ultima parola, depositari di verità assolute. "In quel tempo Taormina disse ai suoi giovani di studio, dalla lettera di Previti ai cronisti..."

Chi ha iniziato il filone dell’ultima parola alla difesa è, manco a dirlo, Berlusconi, che può contare su stuoli di avvocati i quali, possedendo lui qualche televisione più quella governativa per trascorsi meriti di premierato, possono arringare praticamente a reti unificate.
Il malcostume ora si è purtroppo esteso anche a personaggi di calibro inferiore che però fanno sempre parte del giro che conta: imprenditori di piccolo cabotaggio, immobiliaristi del quartierino, politicanti, papponi, cazzari, pusher e peracottari vari, per ognuno dei quali ci tocca ascoltare le solite lamentazioni del difensore d'alto bordo: “non può assolutamente rimanere in carcere”, soffre di depressione, claustrofobia ed alluce valgo”. “E’ gravemente ammalato” (praticamente tutti gli imprenditori che finiscono agli arresti sono cardiopatici gravi). La formula magica che apre tutte le porte delle celle è "le condizioni dell'imputato sono incompatibili con la vita carceraria". Compatibili con le pippate di cocaina praticate fino al giorno prima, però.

Non si arresta mai un colpevole, sono tutti irrimediabilmente innocenti, anche di fronte all’evidenza. Quando un accusato viene beccato in flagrante con prove schiaccianti, gli avvocati americani hanno almeno la decenza di dire: “dimostreremo l’innocenza del nostro assistito in tribunale”. Da noi la parola d'ordine è sgamare il tribunale, magari con qualche legge fatta in casa dall'avvocato casualmente anche parlamentare e poi, ad ogni modo, si tratta sempre del pregiudizio di un giudice nei confronti del loro cliente. Se non fossero avvocati sarebbero normali paranoici affetti dal "Delirio di fumus persecutionis".

Pensare che con Perry Mason gli avvocati erano riusciti quasi a rendersi simpatici.
Anni di casi appassionanti scanditi dal celebre “Vostro Onore” (che poi è una realtà solo anglosassone ma non fa niente, ancora adesso non riesco a credere che nei nostri tribunali non ci si rivolga al presidente con tale appellativo) e difese appassionate di poveretti salvati dalla galera e forse dalla sedia elettrica grazie alla parlantina sciolta e all’umanità di Perry.

Allora gli avvocati che si vedevano in televisione erano finti. Oggi sono veri, purtroppo, e possono contare su un palcoscenico enorme per perorare la causa dei loro potenti assistiti, i VIPs (Very Impunited Persons). Difesi, ricordiamolo sempre, non per amore ma per denaro, molto denaro.

domenica 25 marzo 2007

Una scorreggia vi seppellirà



Nonostante io in genere detesti la pubblicità, non mi stanco di guardare e riguardare questo spot (adoro quando solleva entrambe le zampette!)
Nel simpatico ed irriverente scoiattolino io ci vedo un’anima anarcoide che all’occorrenza potrebbe anche riproporre uno dei suoi rumorosi venticelli in faccia a teodem, teocon e neocon. Un’altra caramellina e vai con un fragoroso commento alla querelle su mozione Fassino o mozione Mussi.
Scorreggia continua e mandata in loop per il dibattito sul partito democratico e su quanto sia di sinistra piuttosto che di centro. Idem per "Mastella e Casino(i) divisi a Berlino", una in onore della famiglia normale in pericolo e un'altra in grado di trasvolare l'oceano quando Condi fa l'incazzata con baffino.
Un pacchetto intero da fare un tornado quando Berlusconi nomina i 15 punti di vantaggio nei sondaggi e la mini-scorreggetta finale ogni volta che finisce il telegiornale (uno qualsiasi a vostra scelta).

Qualcuno mi fa però notare che il messaggio politico dello scoiattolo scorreggione potrebbe essere ambiguo. E’ un salvatore del popolo, non c’è dubbio, ma nel senso dello scoiattolo della provvidenza campione della libera iniziativa, quindi uno scoiattolo di destra, oppure un Masaniello che utilizza un’arma anarchica, proletaria e autogestita come la scorreggia, ergo di sinistra e forse un tantino no global?
A chi vorreste che scoreggiasse in faccia, tanto per divertirci un po’? Segue dibattito, come nei cineclub di una volta.

venerdì 23 marzo 2007

Romero de America, santo del popolo

Il 24 marzo 1980, mentre sta dicendo messa e celebrando l’Eucaristia, monsignor Oscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo di El Salvador divenuto il difensore dei diritti dei campesinos, viene ucciso da un colpo di fucile sparato da un uomo appartenente ad uno squadrone della morte agli ordini del maggiore Roberto d’Aubuisson, leader del partito di estrema destra ARENA.

Il percorso che conduce Romero al martirio è quello proprio dei santi, che in principio non immaginano nemmeno di poterlo diventare un giorno.
Di origini umili, è figlio di un telegrafista, da ragazzo lavora come garzone per un falegname. E’ un bravo ed umile seminarista e un prete molto tradizionalista. Anche quando si trasferirà nella capitale El Salvador come segretario della Conferenza episcopale salvadoregna rimarrà assolutamente fedele a Roma. Piace agli oligarchi perché si oppone alla nascente “teologia della liberazione” degli "eretici" Boff e Camara.
E’ un prete comodo che non si oppone e che obbedisce senza discutere. Da direttore del giornale diocesano Orientacion attacca il progressismo e tutti coloro che vogliono opporsi allo status quo. E' quasi un reazionario.

Nei feroci anni '70 sudamericani dell’Operazione Condor, la violenza in El Salvador diviene però spietata e selvaggia e colpisce soprattutto i campesinos, che chiedono sempre più ad alta voce giustizia. Il 5 marzo del 1977 Romero è nominato arcivescovo di San Salvador. Lo stesso giorno l’esercito spara su cinquantamila persone riunite in piazza per protestare contro dei brogli elettorali. Un centinaio di persone che si erano rifugiate nella chiesa del Rosario muoiono soffocate dai lacrimogeni lanciati dai militari.

La sempre più frequente vicinanza al lutto, alle tragedie e al dolore dei suoi fratelli scava nell’animo di monsignore, che piano piano, come un Don Abbondio che conquista il coraggio che non si sarebbe mai potuto dare, accetta di mettere in discussione le proprie certezze e di cambiare la propria visione del mondo.
Il punto di non ritorno è l’assassinio del padre gesuita Rutilio Grande, suo amico e parroco di Aguilares, centro agricolo poverissimo. Davanti al cadavere di Padre Rutilio, come un cieco che improvvisamente riacquista la vista, Romero vede in tutta la loro crudezza l’ingiustizia, l’oppressione dei poveri, la violenza sui corpi e sulle menti, le torture e i morti. La luce fa male, e lui non può più tacere nè soffocare il proprio dolore empatico.

Nei tre anni che lo separano dall’appuntamento con una morte preannunciata in vari modi, tanto che una volta dirà: “Se mi uccidono risorgerò nel popolo salvadoregno”, denuncia le torture e gli omicidi, parla alla radio, sostiene attivamente l’opera di Marianella Garcìa Villa, l’avvocato che raccoglie tutte le denunce contro la violazione dei diritti umani. Conforterà Marianella dopo la brutale violenza che i militari le faranno subire.
Va perfino a Roma con un corposo dossier sui crimini contro l’umanità nel suo paese a chiedere al Papa aiuto e comprensione. Ne riceverà solo un paternale rimbrotto: "Lei, signor arcivescovo deve sforzarsi di avere una relazione migliore con il governo del suo paese…" e un freddo invito a non opporsi alla lotta contro la sovversione.
Il santo subito negherà al vero santo, ma mai riconosciuto tale, l’aiuto per il suo popolo disperato.
Non solo, ma quando verrà pubblicato il cosiddetto terzo segreto di Fatima, il Papa polacco ruberà la scena e vorrà vedere se stesso nel vescovo vestito di bianco che cade sotto i colpi dei soldati ai piedi della croce e non piuttosto il monsignore sudamericano, morto veramente da martire sull’altare, con il proprio sangue che si mescola nel calice a quello di Cristo.

Il giorno prima di essere assassinato, domenica 23 marzo, nell’ultima omelia diffusa per radio, Romero aveva detto: “Durante la settimana, mentre vado raccogliendo le grida del popolo, il dolore per così grandi delitti, la ignominia di tanta violenza, chiedo al Signore che mi dia la parola opportuna per consolare, denunziare, chiamare a pentimento (…). Desidero fare un appello speciale agli uomini dell’esercito e in concreto alla base della guardia nazionale, della polizia, delle caserme. (…) In nome di Dio, in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono al cielo ogni giorno più tumultuosi, vi supplico, vi chiedo, vi ordino, in nome di Dio: cessi la repressione!”.

Il martirio di monsignor Romero nasce dal suo essersi ribellato all’ordine costituito sia clericale, le gerarchie vaticane, sia secolare, incarnato dal potere dittatoriale allevato e nutrito a pane ed anticomunismo dalla School of the Americas di Fort Benning, USA. Quel potere oligarchico e fascista che doveva a tutti i costi impedire che i popoli sudamericani si emancipassero dalla situazione di sfruttamento e asservimento feudale nel quale avevano sempre vissuto. Un potere a parole difensore dei valori cristiani ma tanto sprezzante nei confronti di Cristo da arrivare a sparare ai preti sull’altare.

Da quell’ultima messa sono trascorsi ventisette anni, durante i quali sono stati nominati 456 santi e 1288 beati ma non Monsignor Romero, non abbastanza santo per un Vaticano timoroso di riconoscere un vero martire dell'anticomunismo.
D’Aubuisson, prima di morire di cancro, impunito per i suoi crimini, nel 1984 ricevette a Washington un’onorificenza da parte di alcune organizzazioni conservatrici per il suo “contributo alla lotta contro il comunismo e per la libertà”.

Qui di seguito due estratti video da una puntata di "La storia siamo noi":
L'ultima omelia e L'assassinio di Monsignor Romero


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mercoledì 21 marzo 2007

Sircana nella valle degli avvoltoi*

Ricordate quando Bill Clinton disse, riferendosi a Monica: “Non ho mai avuto rapporti con quella donna?” mentre quella aveva raccolto campioni organici peggio del RIS di Parma e tutte le lavanderie d’America conoscevano il DNA presidenziale? Ci fece una figura di merda che è passata alla storia e vedrete che ritornerà buona anche per la campagna elettorale della cornuta, pardon, di Hillary.

Ecco qual è il problema dei politici progressisti e di sinistra che si fanno cogliere in situazioni imbarazzanti a sfondo sessuale. Non hanno la battuta pronta, si impappinano, pasticciano e alla fine rendono vero il detto veneto: “xe peso el tacon del buso!” (traduco sempre per i sotto-padani, “è peggio il rattoppo del buco”.)
Potrebbero sfoderare la più fenomenale faccia come il culo come fanno i loro avversari che sono bravissimi nel negare anche la luce del sole, oppure potrebbero sdrammatizzare, essere sinceri, fare una battuta, dire: ”Conosco il nome del bastardo che mi ha mandato la zoccoletta”, e invece piagnucolano come bambini trovati con le mani della nutella. Forse è vero, sono un pò coglioni.

La riprova l’abbiamo avuta con il caso Sircana, che si è arricchito in maniera imbarazzante di dettagli nelle ultime ore.
A leggere l’intervista rilasciata a Repubblica dal Silvio triste pare proprio che un'anticchia di vero ci fosse nel puttanaio mediatico scatenato dei giorni scorsi contro di lui.
Il fatto rappresentato è solo squalliduccio e non costituisce reato, “una piccola e stupida deviazione di percorso, in una sera di mezza estate” come la descrive lui stesso con toni quasi shakespeariani, ma le foto c’erano veramente e noi che siamo stati indotti a pensare al complotto ora ci sentiamo dei pirla e siamo leggermente incazzati.

C’eravamo cascati proprio bene. Siccome certi giornali non disdegnano a volte lo sciacallaggio politico abbiamo creduto che le foto con il trans non esistessero, che fossero una montatura del perfido Belpietro d’accordo con la task force di "pronto intervento mignottoni" di Lele Mora.
Quel paraculo del fotografo è stato pure al gioco e ha smentito tutto parlando di burla.
Ci siamo indignati per come un pover’uomo, per il solo fatto di aver l’agnello morto addosso, fosse stato attaccato indegnamente sul piano personale dalla stampa intestata ai famigliari del capo dell’opposizione. Gad Lerner ha beccato e ha evocato lo spirito di Montanelli, che però prudentemente non si è poi manifestato.
Diciamo la verità, abbiamo creduto al vecchio enunciato che "quelli di sinistra sono più seri degli altri" e sicuramente non vanno a troie e invece il bravo Sircana il suo puttan tour l’aveva veramente fatto, pur limitandosi alla fase di abbordaggio. Oppure, se passava di lì per caso e trattasi di sfiga cosmica, perché non dirlo subito, porca paletta?
Come Clinton, anche il governo ha negato ciò che era meglio ammettere subito, soprattutto tenendo presente con chi si ha a che fare in questi casi.

La montatura c’è, non c’è dubbio, Sircana è caduto come un pollo nel trappolone ma la cosa è molto più sottile di quanto non immaginiamo.
Cosa volevano dimostrare i signori che hanno montato lo scandalo? Che Sircana ha gli stessi gusti di Lapo? Uhm, no, non è interessante. Che i politici hanno dei vizietti? No, troppo banale, siamo italiani, non americani fino a questo punto. E poi nelle foto non si vede nulla, andiamo, mica come Hugh Grant che fu sorpreso in piena action in macchina.

Il punto non è il fatto in sé. Coloro che hanno istruito i fotografi e gli altri che hanno intinto la penna nel cianuro volevano dimostrare che i politici di centrosinistra mentono, e difatti Sircana ha dato l'impressione di aver mentito. Il governo ha fatto quadrato attorno al suo portavoce che mente e ha fatto anche il decreto ad hoc e di conseguenza anche il premier passa per bugiardo. Figura di merda storica numero due. In qualunque paese civile a questo punto per salvare la faccia del governo il portavoce si dimetterebbe. Lui invece continua a fare la vittima, pasticcia e sbrodola ancora di più.

Non sarebbe possibile avere una classe dirigente un po’ più scafata nel gestire certe emergenze? Da una parte c’è gente specializzata che recluta giovani vergini dai bianchi manti, rotte di dietro e sane davanti; che le chiama stagiste, veline, modelle e le manda in missione per conto degli oppositori politici sotto i tavoli dei malcapitati.
Dall’altra ci sono i polli, che beccano e che poi si fanno venire la cacarella dal dispiacere.

O ci si compra i giornali, nel senso di possederli oppure ci si fa un po’ più furbi del Bill con il saxofone.
State tranquilli che una foto che ritrae Berlusconi con un trans non la vedrete mai.

*Titolo ispirato a “Sartana nella valle degli avvoltoi”, uno dei film della memorabile serie con Gianni Garko.

martedì 20 marzo 2007

L'erba e il fascio


"De Marijuana no xe mai morto nisuni". (Pitura Freska)*


Cosa sarebbe la nostra vita senza le grandi verità che quotidianamente ci propinano i telegiornali? Prendiamo per esempio i servizi del corrispondente RAI da Londra Giovanni Masotti, il padre del sado-masottismo, quella perversione che porta il giornalista a farsi del male e a farne agli altri, montando scoop-canaglia come quelli sulle intercettazioni a Caruso e le pere di Cannavaro.
Dopo essere riuscito, l’estate scorsa, a fare un pezzo su un mantello che renderebbe invisibili, realizzato da scienziati inglesi (a Hogwarths?), rimanendo incredibilmente serio, l’altra sera Von Sacher-Masotti ci ha aggiornato sui rischi terrificanti della cannabis.

Nulla di nuovo, in televisione è una gara dura avere una seria informazione scientifica e quando c’è da parlare di droga si fa vedere sempre e solo il tipo che si rolla una canna. Mai un fumatore di crack o uno qualsiasi delle decine (c'è chi dice più di 150) di tipi di ecstasy in grado di bruciare il cervello dopo qualche serata in discoteca. Siccome devono avergli detto che questa o quella (droga) per loro pari sono e devono essere, allora il giornalista si adegua e fa di tutta un’erba un fascio, in tutti i sensi.

Partendo dalla notizia che il giornale inglese The Independent, dopo aver per anni chiesto la depenalizzazione dell’uso di cannabis, ora riporta i risultati di ricerche che dimostrerebbero come lo skunk, il nuovo tipo di resina in circolazione in Inghilterra sarebbe addirittura in grado di provocare la schizofrenia nei consumatori abituali, Masotti non resiste e ci ricama sopra con il tombolo e il chiacchierino.

Il fatto che si parli di un tipo particolare di cannabis molto concentrato in THC e che la schizofrenia non è dimostrato essere legata all’uso della sostanza, altrimenti la Giamaica e Amsterdam sarebbero manicomi a cielo aperto, sono dettagli insignificanti. Non si citano nemmeno gli innumerevoli studi che dimostrano invece le potenzialità interessanti della cannabis nel trattamento del dolore oncologico e come palliativo in varie patologie neurologiche come l’epilessia e la sclerosi multipla. Che esista un farmaco attualmente testato in vari ospedali a base di cannabinoidi sintetici, il Marinol, gli è ignoto.

A Masotti interessa definire l’Independent come l’organo della sinistra estrema inglese e già che c’è insinua il legame tra cannabis, sinistra estrema e pazzia. La sinistra indurrebbe all'uso della cannabis che è più pericolosa dell’LSD, ma ora si è pentita e se lo dice lui c’è da crederci.

venerdì 16 marzo 2007

Dai nostri inviati a Puttanopoli

Un giornalismo che è andato a puttane da anni, fatto da giornalisti che sempre più spesso si vendono senza vergogna, tanto che la parola embedded ha assonanza con il letto, si ritrova in questi giorni a grufolare con mucho gusto nei liquami tossici provenienti dal mondo dello spettacolo e dal paparazzume di contorno.

Il giudice castigavip Henry John Woodcock adocchia Lele Mora e i suoi jellabah e parte un inchiesta che conduce ad un gruppo di magliari, capitanato dal papacazzaro Corona, che si era attrezzato per ricattare i vips che sapevano che i paparazzi sapevano che loro sapevano che li avrebbero beccati all’uscita del locale X.
Si scopre perfino che certe signorine non escono con i vips solo per la loro bella (o brutta) faccia ma per la capienza del portafoglio. Grazie, pensavamo fosse tutto amore.
La cosa diventa francamente comica quando nell’inchiesta compare Riccardo Schicchi, che viene accusato di frequentare e manipolare signorine scostumate. “O mio babbuino caro” sono anni che tratta articoli attinenti con la figa e ci si meraviglia adesso?
No, questa inchiesta non appassiona, negli anni 60 si sarebbe definito uno scandalo da “balletti rosa”. Da sbadigli.
Berlusconi sborsa una ventina di migliaia di euro per salvaguardare la reputazione della figlia, beccata in versione Britney Spears? Poco male, e poi bisogna pensare che per lui sono come per me 20 euro sulla bancarella dei cinesi. Niente interesse, elettroencefalogramma piatto.

Poi lo sgubb, del “Giornale” di Belpietro, dove i due inviati a Puttanopoli raccontano di una telefonata intercettata tra Corona e il fotografo Scarfone e di sedicenti foto che ritrarrebbero il portavoce di Prodi, Silvio Sircana, mentre abborda un trans. Con un tono allusivo, che dice e non dice, che ha fatto incazzare Gad Lerner e impazzire i sismografi presso la tomba di Montanelli, “il Giornale” di fatto sputtana il malcapitato Sircana con un’operazione che qualcuno giudica propagandisticamente perfetta.
Scenetta di stamattina. Chiacchiere tra vicine di negozio. “Oh, hai sentito che hanno beccato il vice di Prodi con i trans?”
C’è stata la smentita, la notizia era falsa nel senso che il fotografo Scarfone-a-mamma-soja ha detto che era solo uno scherzo (del cazzo, dico io) a Corona ma ora la gente è convinta che il Silvio serio abbia gli stessi gusti di Lapo. Mission accomplished.

A parte che Sircana è più triste di un’operazione di polizia mortuaria e che per lui sarebbe più adatta la Transilvania dei transessuali, il problema è che non è stato solo "il Giornale" ad aver aderito allo sputtanamento. Lo stesso giorno "il Corriere della Sera" pubblica l'intercettazione galeotta e altri giornali rilanciano la notizia facendo nomi e cognomi. Chi è senza peccato scagli la prima penna.
Così, per rivoltare la frittata, adesso il vero scandalo non è più la bufala del Giornale e degli altri giornaletti ma la reazione ad essa. L’essersi ribellati ad una notizia risultata falsa fa gridare all’abominio gli stessi giornali che hanno sguazzato nel torbido.

In compenso un’apposita legge (eh si, in un certo senso…ad personam) proibirà la diffusione a mezzo stampa di informazioni relative alla vita sessuale dei cittadini.
Anche in questa faccenda vedo un’americanizzazione dell’Italia. Se c’era un paese che se ne sbatteva la cippa di dove lo infilavano i politici era l’Italia. Si sapeva benissimo delle amanti, degli amanti, dei vizietti privati ma a noi ha sempre dato più fastidio che rubassero. Ora dobbiamo anche noi scandalizzarci per queste puttanate, è proprio il caso di dirlo, vere o false che siano.

giovedì 15 marzo 2007

Darcela a bere dall'A alla Z

La notizia del giorno, rilanciata dai telerotocalchi, è la confessione piena, sicuramente spontanea e dovuta all’aria salubre e vacanziera del Campo di Guantanamo di Khalid Sheikh Mohammed.
Basta fare una ricerca con Google e si scoprono cose interessanti anche se un tantino contraddittorie su questo signore, per cui il condizionale è d’obbligo.

Mohammed, prima di darsi alla macchia come terrorista di Al Qaeda con l'odio viscerale per le nostre libertà, avrebbe combattuto per la CIA in Afghanistan quando i russi dovevano avere il loro Vietnam e successivamente in Bosnia.
Rivoltatosi al ciarlatano e ricercato dai migliori agenti dell’FBI come John O’Neill, sarebbe stato infine assicurato alle cubane galere dopo la cattura in Pakistan nel 2003 ma alcuni lo ritengono morto nel 2002 nel corso di un raid, sempre condotto della CIA e dai pakistani. Un altro morto che cammina nella migliore tradizione di Al Qaeda, come Bin Laden e Al Zawahiri.

Il numero due o tre di Al Qaeda ora avrebbe confessato di aver organizzato tutto lui per l'attentato dell’11 settembre, dall’A alla Z, praticamente un tuttofare, dalla geniale pensata iniziale fino al catering, e alla faccia di Bin Laden che ormai non conta più nulla. "E io pago!", direbbe lo sceicco del terrore.
Il portavoce della Casa Bianca ha dichiarato, restando serio: "Non commentiamo per non influenzare i lavori della commissione militare''.

Nell’autodafè davanti alla corte marziale approntata per dare uno straccio di legalità ai procedimenti contro gli incarcerati abusivi di Guantanamo, er canaro del terrorismo internazionale ha anche dichiarato di essere l’autore, nell’ordine, dei primi attentati al WTC, di quelli in Kenia, l’ideatore del piano Bojinka e di aver tagliato la testa con le proprie mani al giornalista Daniel Pearl.
Un paio di altri mesi a bordo piscina con qualche sigaro avana e bellezze locali e confesserà anche di essere l’assassino dell’Olgiata.

Ah, chi pensa che le sue rivelazioni siano state estorte sotto tortura, o che questa sia l'ennesima balla in spregio alla verità sull'11 settembre è un antiamericano e non è figlio di Maria.

martedì 13 marzo 2007

Euston, abbiamo un problema

Secondo me ci sono troppe sinistre in giro. E’ come in quei film di fantascienza con androidi talmente perfetti che li scambi per umani e ti accorgi che sono finti solo all’ultimo quando li apri in due, ne sbudelli i meccanismi e l’occhio a molla gli penzola fuori dall’orbita.
C’è tanta gente che si definisce di sinistra, anzi ci tiene proprio ad autocertificarsi come tale, ma poi se guardi da vicino ciò che dice e scrive ti accorgi che, o tu sei definitivamente un vecchio arnese del passato ancora legato alla sinistra di Peppone o qualcuno non ha le idee ben chiare su cosa significhi essere di sinistra.

Dovete capirmi. Ai miei tempi c’erano grosso modo due sinistre: quella parlamentare e quella extraparlamentare. I comunisti erano ancora comunisti. Il segretario del PCI era Enrico Berlinguer. C’era perfino l’Unione Sovietica con il CCCP e l’Albania si faceva fatica ad indicarla sulla cartina.
C’era anche una sinistra estrema, e poi l’anarchia (quella vera, non gli anarcoinsurrezionalisti fantasma di Pisanu), e i violenti, “gli innominabili”, come direbbe Gaber.
I socialisti, fino a Craxi, parlavano ancora di socialismo e di operai. Poi arrivò Bettino e, complici gli anni ottanta, la sinistra si scoprì piaciona, godereccia e puttana.
Nonostante le differenze però era ancora facile districarsi nel significato di sinistra. Fermi i capisaldi della difesa dei lavoratori e delle classi disagiate, le differenze erano essenzialmente nei metodi. Le conquiste sociali c’era chi le voleva ottenere legalmente governando e chi era disposto ad usare la violenza, a fare la rivoluzione, si sarebbe detto.

Oggi districarsi tra le varie anime della sinistra è un casino. Alcune le riconosci, usano ancora i vecchi simboli, parlano di uguaglianza, diritti civili e giustizia sociale, quelli che per me sono i valori della sinistra.
Altre anime che si autocertificano di sinistra mi rendono perplessa perché vorrebbero, ad esempio, opporsi al neoliberismo senza cadere nelle maglie dell’antimperialismo acritico. Una versione molto snob della botte piena e della moglie ubriaca.
Ecco, io penso che un elemento imprescindibile della sinistra sia ancora proprio l’antimperialismo, assieme alla ricerca di un sistema economico (modo di produzione) più equo del capitalismo, soprattutto della sua versione hard, il liberismo.

Ho l’impressione invece che la cosiddetta sinistra riformista non si ponga il problema del capitalismo e del suo superamento (in senso democratico e alternativo e non rivoluzionario e violento) ma che cerchi di rendercelo solo più digeribile masticandolo a lungo prima di farcelo ingoiare. O rendendocelo meno penoso come nel detto cinese “se proprio devi essere violentata cerca di trarne piacere.”
Le riforme che vogliono e che ritengono indispensabili per noi (grazie, e chi ve le ha chieste?) riguardano sempre gli altri. La flessibilità del lavoro sbandierata dai vari economisti riformisti che guardano alla Danimarca con il culo bene al caldo non riguarda loro o i loro figli ma solo i lavoratori subordinati, le donne e i lavoratori immigrati.
La loro benevolenza nei confronti dell’attuale sistema è totale perché in realtà difendono un’oligarchia della quale fanno parte. Per loro non vi è alternativa possibile a questo sistema economico e quindi sono conservatori, non progressisti.
Stranamente hanno preso qualcosa dalla vecchia sinistra: il peggio, il metodo stalinista della caccia al dissidente. O sei con loro o contro di loro, con i terroristi.
A proposito di imperialismo, tutte le guerre degli ultimi sei anni erano già scritte del Project for a New American Century fin dal 1997 ma se lo si dice vi daranno nell’ordine: del cospirazionista, dell’antiamericano, antisemita e del busone.
Già, mi ci vorranno cent’anni ma forse un giorno capirò il perché del livore che gli amici ebrei e israeliani hanno adesso nei confronti della sinistra, dopo averci militato storicamente per decenni. Se Fini va a Gerusalemme sarà merito dell’acqua di Fiuggi oppure è il sionismo che si è spostato decisamente a destra?

La cosa più di sinistra che abbiamo avuto negli ultimi anni per me è stato il grande movimento che si raccoglieva attorno alla frase “un altro mondo è possibile”. Un movimento fatto di persone di diversa provenienza politica ma accomunate dalla consapevolezza che la globalizzazione non porta affatto i vantaggi che millantano i suoi fautori.
Questo sistema economico sta distruggendo il pianeta, rende i ricchi più ricchi e i poveri più poveri. Chi dice che non è vero è in malafede o è cieco. La comunicazione decide letteralmente della vita e della morte di interi popoli. Se una guerra non interessa o non è funzionale al grande masterplan non se ne parla e tu non ne saprai mai nulla, anche se muoiono milioni di persone. Basta vedere come la Palestina è sparita dai tele/giornali, assieme al Darfur, alla Cecenia e alla Somalia.

Era bello il movimento dell’altro mondo possibile. Ma è finito, colpito dalle mazzate di Genova, e coperto dall’oscuramento dei media e dalla nube piroclastica di Ground Zero. No global è diventato sinonimo di delinquente, terrorista.
Se abbiamo imparato una cosa da Genova è che questo sistema non sopporta di essere messo in discussione, soprattutto quando sta ridisegnando la geopolitica a sua immagine e rassomiglianza, armato fino ai denti contro i mulini a vento che gli servono per dominare il mondo.
Spariti i no global, o quasi, oggi se la prende contro il Sudamerica che cerca una via diversa di sviluppo. E, come quarant’anni fa Castro, oggi il babau è Chavez.
Da noi sono spariti anche i girotondi, e tutto il movimentismo che voleva dare una scossa ai burocrati di partito. Si farà il Partito Democratico con Rutelli e Fassino, de gustibus.
Io continuo a sperare in un vero progressismo, dove essere di sinistra significhi di nuovo qualcosa di meglio dell'assomigliare a Tony Blair.

lunedì 12 marzo 2007

In cauda venenum

Che fosse ancora più brutto dell'orrendo pupazzo disarticolato di Italia 90 e ricordasse troppo il logo della Logitech c'erano arrivati tutti, Sgarbi compreso. Che il motto, "l'Italia lascia il segno" facesse pensare più alle carezze a base di tonfa che qualche turista ha assaggiato nel luglio del 2001 che ad altro, poteva venirci in mente. Che non piaccia quasi a nessuno lo dimostrano i sondaggi.

Come psicologa devo però fare i complimenti ai creativi che l'hanno disegnato. E' come una macchia del test di Rorschach, ognuno ci vede ciò che vuole, in base alle proprie inclinazioni e paranoie.
Nel cetriolone verde, a parte lo scontato e goliardico simbolo fallico (pur tristemente ammainato), qualcuno ha visto un pericoloso messaggio filocomunista e chi, con un vero colpo di genio, una posizione filopalestinese del governo. Rutelli ci vede perfino un rilancio del turismo italiano, figuriamoci.

Per carità, non vorrei essere più iconoclasta dei tedeschi, ma casualmente ho scoperto che il nuovo logo dell'Italia assomiglia ad alcuni inquietanti sex toys definiti in inglese dog tail butt plug... e non chiedetemi di descriverne l'utilizzo.

domenica 11 marzo 2007

Festeggerai con dolore

Torno sull’8 marzo dopo un’attenta riflessione su come è stato celebrato dai media, in specie dalla grande sorella televisione.
Non c’è spazio per i veri problemi delle donne, la doppia fatica che deve fare qualunque di noi per farsi valere sul lavoro, il doppio lavoro mai retribuito di casalinga-badante-infermiera-puliscicessi (signori, mica tutti possono permettersi la moldava). Gli unici “problemi” che questa società concede alla donna sono la cellulite e la stitichezza, ma basta uno yogurt e cachi ogni giorno come Alessia Marcuzzi.

E’ normale che per una società che non ascolta i bisogni degli esseri umani ma compensa le mancanze affettive ricoprendoli di oggetti inutili, come fanno i genitori assenti con i figli, si esalti solo il lato consumistico ed ipocrita, quello ormai riservato ad ogni festività da calendario, della ricorrenza dell’8 marzo.
La vendetta dei mercanti del Tempio comprende una profusione di cioccolatini (che avendo caratteristiche antidepressive, evidentemente devono consolarci di qualcosa), e di rametti di acacia dealbata, ogni anno più striminziti e costosi e dal vago profumo cimiteriale. Mai, che ne so, qualcosa di più allegro, una godereccia teglia di lasagne o pasta al forno per festeggiare un giorno di rinuncia alla dieta, e piante vive, un albero da piantare in giardino, magari. Eros, perdio, non Thanatos.

Oltre alla solita orgia consumistica, a noi donne la festa l’hanno fatta comunque, con un cupo messaggio di morte di rara violenza psicologica. Con un tempismo che ha dell’incredibile, è giunta, proprio l’8 marzo, la notizia del feto morto all’ospedale Careggi di Firenze a seguito dell’aborto terapeutico effettuato perché la madre credeva fosse malformato e invece non lo era. Una storia tristissima che, invece di ricordare come l’aborto sia sempre un dramma per tutti e che esistono i mezzi per prevenirlo se solo il potere clericale non vi si opponesse, è servita per preparare il terreno all’ennesimo articolo contro la legge 194 dell’Osservatore Romano.
Data la solita bottarella al servizio sanitario pubblico, che non fa mai male, la notizia sui giornali e in tv è servita per l’ennesima volta per colpevolizzare, colpevolizzare e ancora colpevolizzare la donna che abortisce e insinuare che l’aborto andrebbe di nuovo proibito. Non a caso si è scelto un caso limite come questo, dove la donna, “se avesse fatto la risonanza magnetica, avrebbe potuto scoprire che il figlio era sano”. Visto che razza di criminale?

Sempre però che la notizia sia vera. In un mondo di falsità, vuoi che tutto ciò che ci raccontano sia vero? Basta che la notizia serva ad uno scopo, e l’aver anche solo per un giorno rinnovato il disgusto verso le donne che abortiscono e l’aver minacciato di toglier loro un’importante conquista in un giorno significativo, è una vittoria.
Mi pare di sentirli. Cosa vogliono ancora le donne? Basta che siano un po’ puttane e ottengono quello che vogliono, e poi gli abbiamo dato gli assorbenti con le ali, che cazzo vogliono ancora? Cioccolatini e fiori puzzolenti si, ma diritti… eh no, un momento.

giovedì 8 marzo 2007

8 marzo, Sant'Uomo martire

Buon 8 Marzo a tutte le visitatrici di questo blog, bloggers e no, giovani e meno giovani, allegre e tristi, felicemente accoppiate o single, realizzate e no, in cerca di un lavoro o soddisfatte del proprio.

Un pensiero però anche agli uomini, che oggi sono stati tanto carini con noi e ci hanno regalato le mimose a fatto gli auguri, compresi i capi, i colleghi, gli amici e i compagni/mariti/fidanzati.
Se poi, cari uomini, siete fra coloro che oggi hanno regalato mazzi da 36 rose rosse in segno di pace, con il risultato che la destinataria non ha fatto "manco un plissé" e li ha probabilmente già gettati nel rusco, tutta la mia solidarietà e, in attesa di una "Festa dell'Uomo" (l'unica che manca sul calendario), la dedica di questa citazione cinematografica:

"Le femmine sono tutte uguali. Ti ficcano la mano in gola, ti acchiappano il cuore, te lo strappano, lo buttano per terra, e lo calpestano con i tacchi a spillo. Ci sputano sopra, lo sbattono nel forno e lo rosolano a fuoco lento. Lo tagliano a pezzettini, lo schiaffano dentro un toast e te lo fanno rimangiare e si aspettano che tu dica: “Grazie tesoro, è delizioso.

(dal film "Il mistero del cadavere scomparso", con Steve Martin)

martedì 6 marzo 2007

50 anni da primula

Cinquant’anni e non sentirli. Anche perché forse si è già morti da sei anni, con tanto di necrologio apparso sul giornale egiziano Al-Wafd e l’ultima intercettazione vocale della CIA sicuramente autentica risalenti nientemeno che al dicembre del 2001.
Del resto nel mese di luglio di quell’anno non se la passava tanto bene nell’ospedale americano di Dubai dove era ricoverato per una grave malattia e dove i suoi amici della CIA gli portavano le pastarelle.
Osama Bin Laden, lo sceicco ricercato dall’FBI per una moltitudine di reati, dall’abigeato alla circonvenzione di incapace ma non, stranamente, per l’attentato dell’11 settembre, compie 50 anni il prossimo 10 marzo.
Ce lo hanno ricordato oggi solerti i telegiornali. Meno male, perché stavamo proprio per dimenticarci di mandargli una cartolina d’auguri nella caverna superaccessoriata dove si nasconde assieme al Dr. No e al Joker.
Vivo o morto che sia, ma in fin dei conti poco importa, Osama come logo vende ancora bene e si porta anche in primavera, soprattutto quando si devono abolire le notizie per non disturbare le opinioni.

Tutto ciò mentre a casa nostra si vota il “lascia o raddoppia” sull’Afghanistan con il rischio inciucione e D’Alema si accorge che quella è una missione di pace… eterna per i civili e si turba. A turbarsi troppo si diventa ciechi. Dopo aver definito la bastardata degli USA su Calipari “un’occasione perduta”, un’altro gran bel colpo di reni del turbo-ministro degli esteri.
Ha dipinto bene la situazione cloro nel suo post odierno.

Sempre a proposito di Afghanistan, è sfuggito a molti un numero del TG1 di qualche giorno fa, quando il premier dolce-e-gabbana Karzai è venuto a Roma ed è stato intervistato, si fa per dire, dall’inviata Tiziana Ferrario.
Dalla posizione a pelle di leone nella quale di trovava non era facile per la giornalista fare domande, così si è limitata alle solite frasi fatte: “ma come la trovo bene, è appena diventato papà, sappiamo”. Proprio su questo fenomenale scoop la Tiziana ha tirato fuori un pacchettino regalo che ha porto al puerpero Karzai, con le parole: “da parte della redazione del TG1 per il suo bambino”.
Non so, a me è sembrato un po’ eccessivo, un po’ troppo confidenziale, soprattutto da parte della stessa giornalista che in una trasmissione, credo di Santoro, aveva ammesso che siamo andati lì per liberare le donne e i burqa ci sono ancora”.
Da allora mi chiedo cosa mai ci sarà stato dentro il pacchettino ma intanto, sarà un caso, la Ferrario è stata promossa a conduttrice serale del TG1.
Sinceramente, ma ce l’avreste vista l’Oriana a fare gli auguri di neopapà e a porgere un bubbolo della Chicco al generale Giap?

venerdì 2 marzo 2007

Ventiquattro viti


Questo quadro di Egon Schiele si intitola “La morte e la fanciulla” ed è custodito al Museo del Belvedere a Vienna.
In questi giorni nei quali i miei sentimenti, ricordi ed emozioni sono sottoposti alla vivisezione del lutto mi è tornato in mente un episodio che lo riguarda.
Ero a Vienna con mia madre, nell’unico viaggio all’estero che abbiamo mai fatto noi due da sole. Quattordici giorni con i sensi e l’intelletto inondati della sublime bellezza dell’arte e della cultura mitteleuropee. Un ricordo indimenticabile.
Quando mi trovai di fronte a questo quadro, che sintetizza in maniera sconvolgente Eros e Thanatos, la vita e la morte, fui presa da un’emozione intensa, da un dolore cocente e una crisi violenta di pianto, apparentemente inspiegabili. Forse si trattò della famosa “Sindrome di Stendhal”. Qualche giorno più tardi tornai alla galleria e volli rivedere il quadro. Ancora una volta fui sopraffatta dalla stessa emozione al punto, questa volta, da dovermene fuggire via.
Ora è accaduto che mia madre sia morta proprio riproducendo quello stesso abbraccio con mio padre che tentava di soccorrerla.

In questi momenti si cerca disperatamente un conforto sia nella trascendenza, nella religione, nella fede e nel soprannaturale, sia nella razionalizzazione scientifica. Ci si sforza di trovare spiegazioni dove forse non esistono. La morte è un grande mistero che ti porta ai confini tra le dimensioni spazio-temporali ed i mondi possibili e ti sconvolge perché ti costringe a guardare l’inguardabile, soprattutto quando ciò che perdi è l’utero che ti ha generata.

Grazie al mio lavoro ho potuto organizzare e seguire ogni istante dell’ultimo viaggio di mia madre verso l’immortalità di cui godono le persone che hanno molto amato e da molti sono state amate.
Nietzsche diceva: “se guardi troppo in fondo all’abisso, l’abisso guarda te” ma io ho voluto affrontare questa realtà della morte in tutti i suoi aspetti, guardarla dritta in faccia e forse farmene abbracciare come nel quadro di Schiele.
L'ho voluto fino ad assistere alla “chiusura” della bara, un’operazione che di solito viene risparmiata ai parenti e che è mostrata con sconvolgente crudezza ne “La stanza del figlio” di Nanni Moretti. La scena è muta, rotta solo dal rumore dell’avvitatore che fissa le ventiquattro viti. Non c'è, credo, modo più terribile di descrivere il dramma della separazione.
Eppure da questo bagno gelato di realtà ne sto avendo conforto, in questi giorni balordi dove può capitare anche di sorridere e ridere come un'idiota, per esorcizzare il dolore.

Tornerò presto, anche perchè penso proprio, come ha detto Italo, che lei c'è ancora ed più forte di prima. Nonostante quelle ventiquattro viti.

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